Non amo le parole straniere usate al posto di quelle italiane corrispondenti.
Una delle pochissime eccezioni, rubata a don Milani, è questa formula davvero intraducibile.
I care vuol dire mi interessa, ma di un interesse che viene dal cuore; vuol dire mi riguarda, a dire di qualcosa da cui non posso chiamarmi fuori; vuol dire mi preoccupa, mi intriga, è cosa di cui devo interessarmi.
Vuol dire mille altre cose ancora. Insomma… i care.
Abbiamo scelto di chiudere la serie di articoli dedicati alla nostra chiesa con questo pezzo, che parla di chi, nei secoli ma ancora oggi, ha scelto di prendersi cura, di occuparsi, di avere attenzione per la nostra chie- sa, come si fa per la propria casa.
Un tempo si chiamavano benefattori, termine passato di moda, ma che dice bene.
La parola deriva dal latino bene face˘re e indica chi fa del bene, giova al prossimo, sostiene con elemosine, aiuti e elargizioni a persone o istituzioni; e anche chi fa o ha fatto del bene, porgendo aiuto materiale o morale.
Ricordiamo di certo i tempi quando i benefattori erano persone conosciute, alle quali si doveva riconoscenza che, nel passato, era spesso pubblica.
Ai funerali dei benefattori partecipavano i bambini degli istituti che questi avevano aiutato e sostenuto e per le loro anime venivano celebrate spesso messe solenni.
Anche la nostra chiesa e la nostra comunità hanno avuto i loro benefattori, a partire da quel Giorgio del Zoppo che con i suoi lasciti permise la nascita della nostra parrocchia; senza dimenticare i molti parroci che hanno destinato tutte le proprie sostanze per il bene di tutti.
Molti di questi parrocchiani generosi sono citati nei documenti che si trovano nell’archivio parrocchiale, soprattutto in quelli che riguardano la costruzione della nuova chiesa, quando le necessità erano davvero tante. di alcuni loro conosciamo anche i volti, grazie ai ritratti che si trovano nei locali della canonica.
Poi la parola è passata di moda, o forse le persone hanno cominciato a non dire alla destra quello che fa la sinistra; forse sono scomparsi i grandi donatori, cioè quelle famiglie benestanti (o meglio ricche) che usava- no le loro ricchezze anche per aiutare in modo concreto e importante la parrocchia e le sue opere.
Forse gli ultimi benefattori di questo genere per Torre Boldone sono stati i membri della famiglia Reich, in particolare la signorina Rosa, molto generosa e amata dalla popolazione anche per la sua straordinaria sensibilità: moltissimi mi hanno raccontato di aver avuto aiuto senza che nessuno venisse a saperlo.
Certo, ai tempi della costruzione della chiesa e fino al suo completamento i soldi necessari furono davvero tanti.
Ma ogni tempo ha le sue priorità, le sue esigenze, i suoi bisogni.
Anche questo nostro tempo: pensiamo ai lavori di ristrutturazione che sono stati fatti in questi ultimi anni, dall’oratorio al centro s.Margherita, dalla Chiesa alla sala Gamma, dal campanile all’auditorium… una parrocchia è un po’ come la fabbrica del duomo di Milano: non si finisce mai di lavorare!
E allora come si fa, visto che i “grandi benefattori” non ci sono più?
Arriviamo così a parlare dell’oggi, di un’epoca che molti definiscono dell’egoismo, dell’indifferenza, dello stare ognuno a casa sua, pensando ciascuno ai propri affari, senza curarsi di chi ci sta accanto e dei suoi bisogni: al massimo cercando di aiutare i nostri.
In effetti non è così. Se riflettiamo un po’, se ci guardiamo in giro con un po’ di attenzione scopriamo che forse il ruolo più prezioso, ora come allora, è quello svolto dai “piccoli benefattori”.
Pensiamo a chi ha lavorato nella costruzione della chiesa, donando ore del proprio lavoro, portando i prodotti dei campi da mettere all’incanto per donare il ricavato, fornendo il carretto e l’olio di gomito necessario per trasportare i materiali per la costruzione, lavorando ore infinite, rubate al riposo, per ricamare, cucire, confezionare una dote degna della nuova chiesa.
Oggi è diverso, ma ogni tanto in una “finestra” sul bollettino parrocchiale, don Leone ringrazia i gruppi o le istituzioni che hanno donato qualcosa per la parrocchia.
Ma non cita i nomi delle persone singole, certo lo fa per riguardo, per rispetto forse della riservatezza.
E soprattutto perché le persone stesse chiedono regolarmente di restare nell’anonimato!
I benefattori tra l’altro svolgono compiti che non vengono monetizzati, ai quali spesso non si pensa.
Può essere chi tiene i conti, chi proietta i film, chi tiene la Casa di tutti linda e brillante come la propria, chi consegna i bollettini casa per casa, chi fa catechismo o animazione, chi fa compagnia a chi è solo o sofferente, chi si occupa della segreteria, chi fa le fotocopie, chi si occupa del bar, chi scopa il cortile e gli altri ambienti, chi presta i palloni, chi cucina, chi ricama o sferruzza per solidarietà, chi suona organi o chitarre, chi canta, magari anche chi invece scrive.
E vogliamo forse dimenticare chi ogni giorno prega per tutti noi?
Beh, come chiamereste tutte queste persone che operano nei vari gruppi della nostra parrocchia, che dedicano tempo, passione, mente e cuore?
Il titolo di benefattori spetta loro di diritto, anche se non lo reclamano, anzi si schermiscono, vista la gratuità e la dedizione con cui si impegnano.
Mi pare di sentire la protesta: questi sono volontari, non benefattori. Ma è così netta la distinzione?
E ancora parliamo di soldi. Don Leone, lo sapete bene, non ha mai chiesto soldi, non ha mai fatto girare le buste bianche che in molte parrocchie invece sono prassi comune, ha, come si fa in ogni famiglia, sempre evidenziato le spese da sostenere, dichiarando di affidarsi alla intelligenza e alla generosità delle persone e delle famiglie.
E le risposte ci sono sempre state. Molti donano, sostengono, aiutano, sovvenzionano, fanno del bene, quindi sono dei benefattori, anzi, sarebbe bene dire che lo siamo tutti, perché così deve essere.
E l’aiuto alla parrocchia per le sue necessità e per le sue opere di carità si allarga al mondo della missione e della mondialità.
Quanti progetti in questi anni, quanto aiuto offerto alla chiesa missionaria e alle opere di sostegno dei poveri nel mondo!
Basterà ricordare il progetto ‘Famiglia adotta famiglia’, i progetti di solidarietà a s. Martino, l’aiuto alla Bosnia, al Villaggio della Gioia in Tanzania, alle missioni in Malawi e via per il mondo, quanto bene e quanti… benefattori! Appunto, senza clamori, senza sbandieramenti, senza pubblicità, senza compiacenze.
Certo, quello “dei benefattori” è un gruppo strano, che si allarga o si restringe a seconda della volontà della gente, o delle sue possibilità del momento.
E’ un gruppo che non ha un numero fisso di aderenti: c’è posto per tutti.
Anche perché tutti in un modo o in un altro riceviamo dalla parrocchia e usufruiamo di proposte e utilizziamo le strutture.
Il suo progetto (che è alla base anche di quelli di tutti gli altri) sta in un comandamento: ”amerai il prossimo tuo come te stesso”. Se vogliamo dirla, come si usa oggi, in inglese: “i care”.
N.D.R. non ce ne vogliano tutti quelli che non sono comparsi nelle immagini o nel teso, che non sono stati dimenticati, ma ai quali va il ringraziamento di tutti.