I nostri Alpini sono saliti fino in Val Gardena per procurarsi la statua di s. Martino da offrire alla parrocchia.
La Val Gardena è terra di antica tradizione per il buon legno e per la capacità e finezza dei suoi artigiani intagliatori. Anche il parroco del piccolo paese di s. Martino al Tagliamento, pressato dalla sua gente perché dotasse la chiesa di una bella statua del patrono, si premurò di prendere contatto con una bottega artigianale altoatesina.
La scelta si presentava agevole, viste le abbondanti offerte e visto che il soggetto era di ampia devozione. Si accordò con il fedele sagrista e un altro parrocchiano che si diceva esperto d’arte e partì, deciso a portarsi a casa la desiderata immagine del santo.
Una bottega ben fornita e da lustrarsi gli occhi, tra statue di santi e oggettistica religiosa e casalinga.
Ma il parroco mirò subito a scovare il santo del mantello. Ma, meraviglia, l’artigiano intagliatore cominciò a mostrargli non una ma diverse tipologie di statue del santo Martino. Ma come: non era pressoché unica la iconografia del santo?L’aveva sempre visto troneggiante sul suo cavallo, con la veste del soldato e intento a dividere il mantello per donarlo a un povero! Macché: accanto all’immagine tradizionale, ben riconoscibile, ecco un san Martino che, invece di brandire la spada per tagliare il mantello, la sfodera tagliando un orecchio al poveretto indifeso; eccone un altro che addirittura, con fare adirato, si accinge a colpirlo al petto, stendendolo a terra mezzo morto.
E infine, per colmo di stupore, ecco un altro san Martino, lui stavolta gonfio per le bastonate ricevute e con ampie ferite su tutto il corpo: preso di mira da qualcuno che non aveva gradito il fatto che stesse condividendo il mantello con il mendicante.
Il parroco di s. Martino al Tagliamento strabuzza gli occhi, quasi per svegliarsi da un brutto sogno e, smarrito di fronte all’evidenza delle statue, si rattrista al punto da decidere per un immediato e frettoloso ritorno a casa, dimentico perfino di aver promesso un buon pranzo ai suoi fedeli accompagnatori.
Raggiunta casa, cerca di riprendersi e si raccoglie in tormentata preghiera. Ma non riesce a prender sonno, torturato da quelle statue che continuano ad abitare la sua mente. E che gli rimandano il pensiero che forse c’è un richiamo alla triste realtà in quelle immagini scolpite. Finisce col pensare che forse anche al suo paese rischia di essere in atto qualcosa di quanto ha visto raffigurato. Un presentimento che lo rimanda a una certa mentalità che qua e là sente riflessa sulla bocca di alcuni parrocchiani e descritta sul quotidiano che legge ogni mattina. Quella mentalità che una volta si declinava con “gli altri si arrangino” e oggi dice di voler “restringere l’ambito della comunità” e quindi, detto più chiaro, di mortificare la solidarietà. O viceversa: di restringere la solidarietà, mortificando la comunità. Anche il cuore del parroco qui si restringe e piange: dov’è andata a finire la fraternità che si fa accoglienza, che aveva imparato dai suoi genitori, non certo benestanti, al passaggio di ogni povero?
Dove la sua predicazione che sembrava tener salda la lunga tradizione di cristiana condivisione, del prendersi cura degli altri?
Dove il rispetto per la dignità di ogni persona, qualunque faccia abbia e da qualsiasi parte venga, come solennemente sta scritto perfino nella Costituzione, oltre che nel Vangelo?
E il papa Francesco, che tanti applaudono e che tengono come profeta di tempi nuovi, viene poi ascoltato, lui che ha parlato di ‘globalizzazione dell’indifferenza’, facendo capire che è cosa sporca?
E poi, quella domanda che viene giù fino a noi dalle prime pagine della Bibbia:” dov’è tuo fratello?”, come a dire che cosa ne hai fatto, che cosa ne stai facendo di lui?
E la pagina forte del Vangelo, in cui si dice come sarà pesata la nostra vita: avevo fame, ero malato, ero forestiero … ?
Tradotta poi nelle opere di misericordia che fanno da ritornello al catechismo: dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, e così via.
In un sentiero di cura e di solidarietà, che non sono fatte solo di ‘risorse economiche’, come qualcuno vorrebbe farci credere, ma soprattutto di risorse umane, di risorse del cuore.
Come stanno a dimostrare le tante persone che, in modo personale o in gruppi e associazioni, sono attente ai fratelli nella vita. Tutt’altro che perse a mettere ‘pannicelli’ caldi’ sulle ferite dell’umanità e dell’ambiente senza risolvere i problemi, come qualcuno ha scritto.
Certo tutto fatto con la testa sulle spalle e con legalità e prudenza, siamo per l’accoglienza pulita, ma senza restringere lo spazio, qual famoso spazio appunto della accoglienza.
Perché la terra è di Dio, sta pure scritto, e quindi offerta a tutti, data a noi in amministrazione saggia e generosa, non in proprietà assoluta e con diritto di erigere muri o steccati.
Il bravo parroco fu preso da timore, ricordando quelle statue: la paura di dover cambiare iconografia al suo patrono e di dover perfino cancellare il nome scritto sull’arco della chiesa.
E si ricordò che stava scritto perfino sullo stemma comunale: come avrebbero risolto la questione gli eletti dal popolo, per non crear scintille o cortocircuiti tra paese e patrono? Doveva sfogarsi con qualcuno: decise di parlarne domenica alla messa. Un po’ per trovare conforto e magari qualche smentita ai suoi turbamenti, un po’ per certificarsi che di quelle statue lui sarebbe tornato a prenderne una, ma quella di antica tradizione e giusta, giusta per il paese e la sua gente che non si sarebbe smentita in solidarietà e condivisione. Un po’ per invocare con la sua comunità il miracolo che gli stava a cuore. Per il bene di tutti, ma proprio tutti, e poter così dire con animo sincero il Padre nostro. ‘Nostro’, appunto, non Padre ‘dei nostri’ Quel Padre che nessuno esclude e tutti pone al sicuro sotto il suo mantello.
Di cui è immagine il mantello del santo patrono.
Il parroco finalmente prese sonno e sognò di tornare in Val Gardena.