Ogni comunità ha bisogno di devozioni e di testimoni, capaci di indicare, con la loro vita e le loro opere, il cammino ai fedeli.
Devozioni e testimoni sono spesso cambiate nel corso del tempo o hanno assunto ruoli e importanza diversi.
Facciamo un piccolo esempio: chi tra quelli che hanno la mia età, soprattutto tra le ragazze, non conosce Maria Goretti e non è in grado di raccontarne le vicende?
Nessuna mano alzata, vero?
Ma provate a dire questo nome alle ragazzine di oggi! Io ho provato e ho ottenuto in cambio espressioni sbigottite e sguardi assenti.
“Canta?” mi ha chiesto una di loro, temendo di essersi persa qualcuno, ad X Factor…
Semplicemente, sono cambiati i tempi, e la fanciulla martire non è più di moda.
Così come non lo sono San Rocco, San Lorenzo, sant’Erasmo, S. Stefano e via dicendo.
Resistono S. Lucia, grazie alla magia della notte piena di regali, e S. Apollonia, per via dei soldini in cambio dei denti caduti.
Ma quelle non sono devozioni, sono solo, ormai, tradizioni. Piacevoli, ma solo tradizioni.
La nostra chiesa di Torre ha però devozioni radicate, vive e presenti ancora oggi e che non passano di moda.
Devozioni belle, forti, che uniscono le persone e aiutano a fare comunità.
Quella più viva e sentita – credo – ci lega alla Madonna Addolorata, la cui statua è posta nella cappella che chiude il transetto, a sinistra.
Il bell’altare fa da cornice alla dolce, struggente immagine di Maria che regge tra le braccia il corpo di Gesù, appena tolto dalla croce.
Il volto della Vergine è sereno, composto, ma lascia trasparire un dolore immenso, straziante, accettato con la consapevolezza che quello è il prezzo che lei deve pagare per aver accettato di far parte, col suo “sì” alla missione del Figlio di Dio.
Così noi, davanti alla sua immagine, guardando quel volto, riusciamo – o almeno proviamo, col suo aiuto – a dare un senso ai dolori della vita, che spesso sembrano non poterne avere.
Un tempo molto sentita, ma oggi decisamente in declino, è la devozione al Sacro Cuore di Gesù, testimoniata nella nostra chiesa da ben due statue di Gesù che mostra il suo cuore donato per noi.
Stessa devozione, stile diverso: un po’ barocca, con ampi panneggi la più antica; più semplice e lineare, invece, la più recente (1960), di Stefano Locatelli.
Tornando alla Vergine, nel mese dedicato al Santo Rosario nella cappella laterale di destra vengono esposte, alternativamente, la statua o il quadro della Madonna del rosario.
La statua – bellissima – è di Gordiano Sanz e risale al 1825.
Maria è seduta, tiene il piccolo Gesù appoggiato ad un ginocchio e lo guarda con amore, mostrandogli col gesto della mano la corona del rosario.
La tela è di Giacomo Cotta e secondo lo stile del tempo (metà del 1600) raffigura al centro la Madonna col Bambino che reggono tra le mani una corona del rosario, come gli angioletti che stanno loro intorno; in basso, vicino al tronco del roseto che reca i tondi con i misteri, i Santi Margherita, Caterina da Siena, Domenico e Carlo Borromeo.
La statua della Madonna Immacolata, della seconda metà dell’800, di autore ignoto, è un’immagine tratta dall’Apocalisse: la donna vestita di sole con la luna sotto i piedi e una corona di 12 stelle.
Maria tiene le mani giunte e ha lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre col piede calzato da un sandalo schiaccia la testa del serpente.
Una devozione del passato torna prepotente alla memoria guardando il quadro che raffigura “la morte del giusto”.
Siamo nella casa di Nazareth, su un semplice giaciglio è seduto, in una posa abbandonata, Giuseppe, moribondo, sostenuto da Gesù.
Maria, inginocchiata dall’altro lato del lettuccio, guarda con affetto Giuseppe e regge con le sue la mano destra, abbandonata, dell’uomo che ha fatto da padre a suo figlio.
Dietro di loro una fila di angeli scendono dal cielo, mandati da Dio, a prendere l’anima dell’uomo giusto che ha accettato un incarico incredibile, con una fede e una devozione immense.
A terra, accanto al letto, c’è il giglio che nei quadri è sempre associato al padre putativo di Gesù. E’ una scena piena di tristezza ma anche di serenità e speranza: chi non vorrebbe una morte così, tra le braccia di Gesù e Maria?
La nostra chiesa è davvero ricca di tesori: tra le statue ci sono anche quella di S. Agnese, un tempo protettrice delle fanciulle; l’immagine di S. Anna con Maria bambina, davanti alla quale spesso pregavano le nonne; Antonio da Padova, che i fedeli di Bergamo vollero come compatrono; Santa Teresa del Bambin Gesù; san Giuseppe col Bambino, e via di seguito.
Pochi lo sanno, ma la nostra parrocchia possiede anche le statue di Bernadette e della Madonna di Lourdes, con altre opere che molti hanno dimenticato o addirittura mai visto. Chissà, forse una volta vi faremo una sorpresa e ve le mostreremo tutte insieme…
Anche la devozione un tempo legata alle reliquie ha pagato il passare del tempo e il cambio delle devozioni: ci si ferma qualche volta a guardare nella teca, ma non sappiamo nemmeno più quali reliquie abbiamo.
Per fortuna un parroco, molto tempo fa, in occasione di una visita pastorale, si prese la briga di stendere una relazione, manoscritta, presentando lo stato della sua parrocchia e elencando tutte le opere, reliquie comprese.
Bisognerebbe leggerlo, per rimanere stupiti.
E arriviamo a San Luigi Gonzaga, il patrono dei fanciulli e dei giovanotti. Della prima metà del ‘900 è un’opera di Luigi Santifaller in legno, che mostra l’iconografia tipica del santo, raffigurato con la cotta candida nell’atto di indicarci il paradiso, mentre due angioletti sembrano accompagnarlo in cielo.
E’ una statua “seria” che però mi fa sorridere ogni volta che la vedo, perché ricordo un aneddoto che ci raccontò tempo fa don Leone.
Mostrando ai chierichetti alcune delle statue della chiesa, si fermò davanti a questa e prima che potesse parlare, un bambino esclamò sorpreso: guarda:il santo panettiere!
Una devozione ancora molto viva, ma legata ad un periodo preciso dell’anno liturgico, è quella che interessa la statua del Cristo morto e deposto, che viene esposta in chiesa e portata in processione per il paese la sera del venerdì santo.
Quando ci accostiamo per una carezza o un bacio all’immagine di Gesù, c’è sempre una buona dose di emozione e questo probabilmente non ci ha mai consentito di guardare con la dovuta attenzione la nostra statua, che è davvero bella.
Datata dagli esperti alla seconda metà dell‘800, anche in questo caso non ne conosciamo l’autore, probabilmente un artista bergamasco; la statua è in legno scolpito e dipinto, in parte dorata.
E’ un’immagine tragica: il corpo di Gesù è abbandonato, il busto appoggiato ad un cuscino, ma le mani hanno mantenuto la rigidità causata dai chiodi, le ginocchia sono profondamente ferite dalle cadute, la ferita causata al costato dalla lancia di Longino sanguina copiosamente, la fronte reca le ferite delle spine, mentre il volto di Gesù è irrigidito in un’espressione di dolore intenso, che la morte non ha ancora cancellato.
Ci fermiamo qui, ma molte sarebbero ancora le opere da illustrare.
Immagini di molti testimoni, di cui dobbiamo seguire l’esempio.
Anche questa è catechesi, non da leggere da un testo ma da scoprire attraverso la vita di persone che hanno fatto della fede il senso del loro cammino.