- Rubrica a cura di Rosella Ferrari
Come ogni storia che si rispetti, anche questa inizia con “c’era una volta” e finisce con un lieto fine.
Ma la cosa più importante è che si tratta non “solo” della storia della nostra chiesa parrocchiale, ma di quella dell’intero paese di Torre Boldone.
Partendo davvero da lontano, dall’epoca in cui Bergamo era un municipium romano, e i romani fecero costruire una strada (per la verità poco più che un sentiero) che collegasse la città con le valli.
Si trattava della strada rubra, documentata anche in antiche carte geografiche del territorio bergamasco.
Una via davvero importante, perché permetteva di raggiungere Alzano e da lì – attraverso due direttrici, che oggi chiamiamo Valle Seriana e Valle Brembana – i confini del nostro territorio, per poi poterli valicare fino ad arrivare in Svizzera.
Proprio lungo la strada rubra, nella località che oggi chiamiamo San Martino Vecchio, sorge il primo nucleo di abitazioni che diventerà Torre Boldone, e lì verrà edificata la chiesa, documentata già intorno all’anno 1000 e dedicata a S. Martino di Tours.
Arriviamo al 1342, anno importantissimo per la nostra storia perché nel luglio di quell’anno
Giorgio Del Zoppo ( o De’ Zoppi), gentiluomo bergamasco che aveva una casa nella zona di Imotorre e molte proprietà a Torre Boldone, scrisse il suo testamento, che è arrivato fino a noi.
Tra le numerose disposizioni del testamento, una lasciava alla chiesa di san Martino de Turre terreni e proprietà che permettevano di costituire un fondo parrocchiale capace di mantenere stabilmente due sacerdoti, uno dei quali doveva essere assolutamente, pena la nullità della disposizione, prete Grazio da Rovetta, cioè Grazio Guinzardi.
Nasce in questo momento la nostra parrocchia, con una chiesa ultracentenaria posta esattamente dove oggi sorge la cappelletta di S. Martino Vecchio.
Allora come oggi, il territorio del paese si sviluppava dal piano al colle, e lungo tutto il territorio vennero pian piano costruite case coloniche, poste al centro del terreno che dovevano coltivare: parliamo dei nuclei del Borghetto, del Serlongo, del Fenile, e via dicendo.
Arriviamo ad un anno tragico e terribile per tutto il nord Italia: il 1630, che portò una pestilenza terribile, che decimò la popolazione: nelle nostre zone morì il 60% degli abitanti.
Il Podestà stabilì una serie di regole igieniche che dovevano servire per limitare il contagio: tra queste, l’obbligo di edificare un lazzaretto e di scavare una fossa comune lontana dall’abitato.
A Torre Boldone il lazzaretto sorse nella zona di S. Martino Vecchio e la fossa comune venne scavata alla Ronchella.
Dopo quattro tremendi, infernali mesi, il morbo cessò, lasciando paesi devastati.
I morti del nostro paese erano stati sepolti nella grande fossa, coperti di calce per evitare il contagio.
La fossa venne ricoperta di terra e subito la popolazione volle costruire una tribulina davanti alla quale pregare per tutti i defunti sepolti lì.
Passarono gli anni e la gente continuava ad andare a pregare alla Ronchella, dove probabilmente ogni tanto si recava anche il parroco per celebrare la messa.
Così gli abitanti della zona pensarono che sarebbe stato bello, e molto utile, trasformare l’edicoletta in una chiesina, nella quale poter far celebrare comodamente la Messa e altre liturgie.
La lontananza della zona dalla chiesa parrocchiale (ricordiamo che era a S. Martino Vecchio) fece intravedere la possibilità di poter più comodamente seguire le funzioni, senza doversi sobbarcare tutto il tragitto.
Il parroco del tempo, don Marinoni, lesse in questa richiesta un pericolo davvero grave: quello che la parrocchia si dividesse praticamente in due, con i fedeli della zona alta del paese che avrebbero frequentato la nuova chiesetta e gli altri che avrebbero continuato a recarsi alla chiesa parrocchiale.
Così si oppose in tutti i modi alla costruzione della chiesina.
Gli abitanti erano però estremamente determinati, e tanto dissero e tanto fecero che ottennero il permesso per la costruzione non solo da Venezia, che al tempo concedeva raramente il permesso per la costruzione di nuove chiese, ma anche dal Vescovo. La clausola per ottenere tale permesso era che i fedeli dovevano dimostrare di aver raccolto una “dote” sufficiente non solo per la costruzione, ma anche per arredi e per i paramenti
liturgici necessari; e questo anno dopo anno.
I fedeli dimostrarono di poterlo fare, e la chiesetta venne costruita, seguendo le regole e le misure imposte dalle autorità; il 30 novembre 1817 viene benedetto l’oratorio dedicato
alla Madonna della Pietà in suffragio dei morti per la peste.
Don Marinoni aveva lasciato in testamento tutti i suoi beni per la costruzione di una nuova chiesa a Torre Boldone, più ampia e più centrale rispetto alla precedente.
Alla sua morte, avvenuta nel 1737, gli subentrò don Bartolomeo Bolis, che si appassionò da subito all’idea della nuova chiesa e per molto tempo trattò con i canonici
del Capitolo della cattedrale di Bergamo per poter ottenere uno scambio di terreni. Alla fine ottenne un terreno, detto “campo della fornace” posto nelle adiacenze della strada che portava in Valle Seriana: zona centrale, appezzamento di terra sufficiente per potervi edificare una chiesa dalle dimensioni dignitose e adatte alla popolazione del paese.
A quel punto la popolazione aspettava con ansia che iniziassero i lavori: l’idea li entusiasmava grandemente.
E da quel momento in poi si assistette ad una gara di generosità tra i cittadini, che si mossero in molti modi per favorire la costruzione della chiesa, con offerte in denaro ma anche con il lavoro dei singoli, con offerte di prodotti della terra… tutto era buono pur di veder nascere la nuova chiesa.
Quella appunto che ancora oggi è la nostra chiesa parrocchiale, sempre dedicata a s. Martino di Tours.